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WILLIE NILE E MARCO LIMIDO - Acoustic duo.

Torna un beniamino delo Club, il Newyorkese Willie Nile ancora una volta accompagnato dal bravissimo Marco Limido. Recensione fatta due anni fa dalla rivista Buscadere su un concerto tenuto al Giardino da Willie Nile firmata da Mauro Regis. Per due ore Il Giardino di Lugagnano, locale che da qualche anno si è imposto all’attenzione del pubblico degli appassionati per un’attenta scelta della programmazione concertistica e che per la prima volta si è aperto al rock nel senso più classico ed amato della parola, si è trasformato in un infuocato club di New York, grazie alla carica, umana e musicale, di Willie Nile, ritornato sui palchi italiani dopo una lunga assenza. Accende la notte di calore e passione, con ballate, rock tirati e cover di prima qualità, passando dal pianoforte (commovente l’apertura con “Streets Of New York”, canzone d’amore alla propria città, dove Bob Dylan incontra Graham Parker con lo spirito del primissimo Springsteen) alla chitarra, accompagnato dall’eccellente Jorge Otero alla chitarra e dalla solida sezione ritmica di Rigo Righetti (basso) e Robby Pellati (batteria). Canta New York e la voglia di vivere (“I love being alive” dirà introducendo l’ultima canzone) in tutte le sue più profonde e semplici sfaccettature, come quando racconta di Bo Diddley che cammina per le strade di New York (“When I Saw Bo Diddley In Washington Square”, ballata dal ritmo quasi valzer), ma anche momenti più tristi e malinconici (“On The Road To Calvary” dedicata all’amico scomparso Jeff Buckley ed a Jack Kerouac) o di rabbia verso i tempi difficili (“Hard Times In America”, scritta più di quindici anni fa, ma attuale quando la riferisce alla presidenza Bush). L’anima rock lo guida nelle dediche ai grandi (“She’s So Cold” per Jagger & Richard), nei ricordi dell’avventura quale opening act del tour di The Who nel 1981 (una “Substitute” fedele all’originale, intatta nell’essenza e nello spirito dell’epoca), nel tributo al punk della sua New York (“Blitzkrieg Bop” dei Ramones, con citazioni di “California Sun” e di “Sheena Is A Punk Rocker”) accendendo l’entusiasmo del centinaio di presenti, ma lasciando poi, al momento opportuno, lo spazio per ballate meditative e momenti di quiete. Così è quando – grandezza del piccolo uomo di New York – dedica “Vagabond Moon” a Massimo Bubola, nella sua città natale, dichiarandosi onorato della rivisitazione del musicista veronese, con un gesto di inarrivabile umiltà e generosità che non ricordiamo di aver mai sentito da altro musicista straniero. Si chiude al pianoforte, così come s’era partiti, con due brani commoventi che celebrano la vita nel momento del dolore e della difficoltà: “Back Home”, dedicata alla gente de L’Aquila, il primo luogo che lo vide ospite di un concerto in Italia, ed “Across The River”, ispirata dalle tragiche immagini di disperazione che gli giungevano dall’Etiopia alla fine degli anni Settanta, ma ancora oggi tragicamente attuali. Mai ritorno fu più apprezzato, ed ora meritevole di una pronta replica.

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